01 ottobre 2006

MILLE GRANCHI BLU

DI LAJULES



Da quando ho smesso di fumare, ho sempre cercato qualcosa di meno caro e più salutare per soddisfare il mio bisogno smodato di rituali. Chiedere la marca preferita al tabaccaio, aprire il pacchetto con uno studiato ma disinvolto giro di polso, estrarre la prima sigaretta e poi via: la prima boccata.

Gettato l’ultimo pacchetto nella spazzatura, mi sono buttata sul cibo, nonostante l’avvertimento del manualetto di Nicotinelle. Il mio dio di catrame è stato rimpiazzato da mille idoli ingrassanti, e va bene così.

Per quasi tutti noi, gran parte del piacere del cibo deriva dai rituali che escogitiamo per nutrirci. Aprire il Grande Libro di Cucina e dedicarsi a seguire una ricetta passo passo, indossando il sacro grembiule dell’accolito, e magari anche il copricapo d’ordinanza, ci riempie lo stomaco anche prima del primo assaggio. Il rituale continua poi quando ci si siede a tavola, e si onora il pasto mettendo i gomiti al loro posto, aspettando che tutti gli ospiti siano seduti prima di iniziare a mangiare, e intonando il solenne “Buon Appetito”, a cui si risponde, “Grazie altrettanto”, o, come diceva un mio amico eretico, “Fatti i ca--i tuoi.”



Adesso che sono cresciuta, il mio rituale culinario preferito riguarda i granchi, o meglio, i meravigliosi granchi blu del Maryland le cui chele mi tengono legata all’America più di qualsiasi assegno bonus semestrale (che dio benedica anche quelli). I granchi blu vengono consumati a dozzine dagli abitanti del Maryland e in paricolare della Chesapeake Bay. Cotti al vapore finchè il tipico colore blu non si trasforma in rosso, i granchi vengono cosparsi da una mistura di spezie piccanti chiamata Old Bay Seasoning. La Grande Abbuffata avviene sempre in compagnia, preferibilmente su dei tavolacci all’aperto ricoperti di carta da pacchi. Birra gelata di pessima qualità è l’accompagnamento prediletto.

La cosa stupefacente del granchio blu è che sembra fatto per essere mangiato. Rigirato sulla pancia, esibisce una levetta che, una volta sollevata, permette l’apertura del granchio in due perfette metà. Una volta aperto, le interiora verdognole e grigiastre vanno ripulite con un coltello. Dopo, il granchio va spezzato in due, e ancora in due, e solo a quel punto è possibile cominciare a mangiare. La polpa dolce e bianca del granchio blu si offre come un fiore, ma si nasconde anche nei mille anfratti e cassettini del granchio blu. Tutti gli anfratti vanno tutti ripuliti con le mani, esercitando vari livelli di pressione ed impegnandosi ad osservare una precisione a dir poco chirurgica. Le mani poi, ricoperte di Old Bay e di graffi sanguinanti, condiscono la polpa di granchio più nascosta.



A conclusione del rituale, le chele del granchio vanno aperte a martellate e svuotate degli ultimi bocconi di polpa rimasta. Il martellare ci risveglia e ci separa dall’esemplare che abbiamo appena dissezionato, e ci introduce all’apertura del prossimo granchio.

La Grande Abbuffata dura per ore, durante la quale si spera che i granchi blu non finiscano mai. Ma poi c’ è chi ci ricorda che, per fortuna, ai mortali non è concesso un numero infinito di granchi. Dodici granchi blu in ogni vassoio. Venti sigarette in ogni pacchetto. Qui nasce il rituale, e qui si chiede il conto.

E voi, avete un rituale gastronomico?

Per chi fosse interessato, ecco un pagina che mostra come il granchio blu cambia corazza.

19 commenti:

Anonimo ha detto...

Vedo che l'Atlantico offre di che ben soddisfare un'oralità frustrata. E poi non è mica roba ingrassante!

Annina ha detto...

Ci sto pensando... forse la colazione. Ma merita una descrizione a parte.

Annina ha detto...

Credo di aver capito perchè mi era così difficile trovare un esempio specifico: io tendo a ritualizzare tutto, ragione per cui non ho mai iniziato a fumare. Per esempio, il caffè espresso: mezzo cucchiaino di zucchero di canna (preferibilmente), mescolo, appoggio il cucchiaino a bordo tazzina per lasciare che ne coli la goccia residua, lo sposto un po’ più in là, seconda goccia, ancora più in là, terza goccia. Solo con le mie tre righe all’interno della tazzina, inizio a bere. Se mi fate pensare, probabilmente ho decine di esempi.

Annina ha detto...

Tranquilla Franisia,
sono un po' nevrotica, ma non controllo 4 volte il gas. E non passo mai le vacanze nello stesso posto (vabbè, ho fatto eccezione per Sesto Pusteria), ne' un'intera giornata a casa. Ma non c'è niente da fare: la pizza la mangio sempre allo stesso modo, non comincio una volta dai bordi con il coltello e l'altra sbranandola nella parte centrale. E poi credo che non ci siano molti modi diversi per mangiare un granchio blu: il rito è d'obbligo...

Lajules ha detto...

Il passo dal rituale all'ossessione compulsiva non e' cosi' breve come sembra. Io per esempio seguo un ordine preciso quando mangio il Club Sandwich del Distributore (osanna!). Prima la diagonale centrale, poi i pezzi laterali, sinistro e destro. Forse un ricordo del seno della croce durante le messe imposte quando andavo alle elementari. Questo pero' non mi impedisce di lasciare aperto il gas prima di andare a letto. Non vi preoccupate, ho installato un allarme.

I rituali piu' assurdi riguardano pero' la nostra infanzia/adolescenza. Fino a 15 anni poi mangiavo il cono gelato dal basso. Chissa' cosa volevo dimostrare. Di certo non era un bello spettacolo.

Annina ha detto...

Non so che dire a Franisia. Sono anarchica da quando avevo tre anni (anche se l’ho scoperto dopo), ma la mia visione dell’anarchia prevede la libertà di poter seguire le regole e i rituali interiori, purché sia io a ritenerli ragionevoli. Forse sono stata fortunata, perchè non ho avuto grossi problemi con le autorità da bambina (sempre sia lodato lo spirito libero della mia maestra delle elementari...)

annucci ha detto...

Annina: non credo che Franisia volesse dirti che sei schiava delle regole, voleva solo esprimere il suo punto di vista.
Per quanto mi riguarda credo di non avere rituali. dopo 3 volte che faccio la stessa colazione mi viene la nausea e devo cambiare.
Adesso per pranzo mangio tutti i giorni panino con il tacchino e carote crude.
se non fosse per la flebile pseranza di perdere qulache chilo mi sarei già sparata

Lajules ha detto...

Attenzione pero' che rituale e abitudine sono due cose diverse. Mangiare zuppa di latte e biscotti tutti i giorni a colazione e' un'abitudine. Indossare una vestaglia di flanella, preparare un frittatone di cipolla, bere Peroni gelata, e concedersi il lusso del rutto libero quando si guarda l'Italia, quello e' un rituale.

I bambini sono quelli che ritualizzano tutto (prima che la vita diventi abitudine). Sono quelli che prima rosicchiavano le stelle dai Pandistelle prima del cioccolato, o che scavavano la mollica dal pane prima di mangiare la crosta. Ad un livello non mangereccio, io non potevo partire per le vacanze se prima non avevo salutato tutti i sanitari per nomignolo. Adesso sono la prima cosa che "saluto" quando dalle vacanze ci torno. Vabbe', quest'ultimo dettaglio e' un po' inutile...

Annina ha detto...

Non ti preoccupare Annucci, avevo capito quello che mi aveva scritto Franisia, e mi sembrava così radicale il suo rifiuto del rito come imposizione, che ho ipotizzato che qualcuno nella sua infanzia le dovesse aver imposto noie che mi sono state risparmiate! E comunque non so se abbia a che fare con la nevrosi, ma di certo sono un habitué del rito come esaltazione del piacere: quando mi faccio la doccia, momento per me estremamente soddisfacente anche quando vado di fretta, tendo ad insaponarmi le varie parti del corpo con un ordine preciso (non è colpa mia se sono uscita dalla cucina per entrare in bagno, ha cominciato laJules!)

annucci ha detto...

Ma un rituale può essere un piacere ma riuscire bere il caffè solo posando il cucchiaino sempre dallo stesso lato della tazzina mi sembra più un tic che altro.
Penso che mangiare determinate cose sempre allo stesso modo sia normale, probabilmente lo faccio però non me ne rendo conto, non ci sto a pensare.
Sarebbe come dire che mangio il gelato leccandolo prima in basso per non farlo colare ma credo sia una cosa normale e sicuramente non mi metto lì a dire:"adesso lecco il gelato così sennò non me lo godo".

A pensarci bene credo di non avere rituali particolari con il cibo.
L'unica cosa che credo si avvicini più ad un rito è che al mare mi piace fare colazione al bar e comprarmi il giornale all'edicola prima di andare in spiaggia, ma spesso mi dimentico di farlo.

Annina ha detto...

Il punto è che riuscirei benissimo a farmi la doccia e a bere il caffè in un'altra maniera, ma senza farci caso lo faccio sempre allo stesso modo. Il che, in qualche modo, finisce per far diventare questi gesti un rito; o almeno così lo interpreto analizzando la mia personalità. Se fossi obbligata a farlo diventerebbe una nevrosi, come giustamente osserva Annucci.
La colazione durante le vacanze, comunque, secondo me si avvicina molto alla volontà di sottolineare una situazione piacevole con un "rito" (lo scrivo tra virgolette così diventa un concetto meno drastico).

annucci ha detto...

si indubbiamente la colazione in vacanza è un rito, quando riesco a farlo. Anche perchè quando lavoro raramente riesco a farla con calma, soprattutto nei bar di Milano affollati di gente che a fretta di andare in ufficio!

Anonimo ha detto...

Non posso non svelare che la mia unica ritualità culinaria stia nel modo in cui affetto qualsivoglia pomo: mela, pesca, pera; prima in due parti, poi in quattro, quindi otto e così via in progressione geometrica come un promettente assassino seriale.
E' un residuo della mia infanzia da nipote unico. Quando non volevo mangiare la frutta, mia nonna la riduceva in tanti spicchi e mi faceva immaginare che fossero loro i porcellini e io il famelico Ezechiele Lupo.
Una fantasia poco convincente ma che sfruttava la somiglianza della mia salopette con quella del suddetto canide.

Lajules ha detto...

Nannini, grazie del commento. La salopette ci ha intenerito.

La mela, o pomo, l'ho sempre odiata, perche' mi stanco a mangiarla e per quel gusto che si ritrova, mi sembra una perdita di tempo e di energie. Ricordo pero' gli spicchi messi in fila sul tavolo quando ero piccola, e mentre io lavoravo sul terzo spicchio, notavo con disgusto che quelli che mi rimanevano erano gia' diventati marroni.

Ma il ricordo piu' orrendo di quelle microporzioni per bambini riguarda le stramaledettissime trote bollite piene di lische che cucinava mio padre e che io mi portavo alla scuola elementare per pranzo. L'inguardabile Suor Gabriella dagli occhi cerchiati (una suora-procione) allora si sedeva con me nel refettorio vuoto e cercava di fami mangiare quei bocconi insapori, spinosi e secchi, bocconcino dopo bocconcino per Gesu' e per Maria e per San Gioacchino, patrono della scuola.

Tutti riti satanici a cui siamo sottoposti da bambini. Non vedo l'ora di riproporli ai miei nipoti.

annucci ha detto...

Lajules certo che anche tuo papà era sadico forte eh?
Ma perchè questa ossessione di far mangiare tutto ai bambini?

Per quanto riguarda i rituali posso citare quello del topo quando mangia le noci: ne apre una decina e ne fa un mucchietto, poi se le mangia tutte insieme. Guai a rubargliene una dal mucchietto, diventa una furia!

Lajules ha detto...

Devo chiedere a mia sorella di scrivere un post per raccontare la nostra infanzia culinaria horror. Una cosa da Marcellino Pane e Vino. I miei amici americani non riescono a credere che una bambina italiana possa aver avuto questo trattamento.

Il rituale del topolino e le noci e' la cosa piu' carina che abbia mai sentito.

annucci ha detto...

Cara Lajules,
io per topo intendevo la mia dolce metà, ma credo che i roditori si comportino allo stesso modo!

Lajules ha detto...

La tua dolce meta' ha troppi nomignoli e io credo a tutto quello che mi si dice.

Annina ha detto...

Io ricordo che nel menù d'infanzia della jules la trota veniva accompagnata da una patata lessa. Sbaglio?
Jules anch'io ci ero cascata col topo, anche perchè Annucci di solito specifica "il mio topo"; e poi di che si nutre un roditore, se non di noci?