DI LAJULES
Lo so… sono già passati diversi giorni dalla vittoria di Barack Obama alle elezioni presidenziali americane e forse ho trascorso troppo tempo a godermi il calore e la gioia di questo risultato. Fatto sta che scrivo di questo evento solo oggi. Pardon.
So che la maggior parte dell’Italia sta festeggiando con me in questo momento storico (non parlo di Gasparri ovviamente, che manderei volentieri a combattere Al-Qaeda visto che si agita tanto, o di Berlusconi, con le sue spiritosaggini da Bagaglino che poi tocca a me spiegare agli americani allibiti che incontro ogni giorno), e quindi non mi dilungherò in ardenti magnificazioni del nuovo Presidente degli Stati Uniti.
Voglio però dire la mia su un aspetto forse minore, ma di certo importante, di questa elezione. La campagna di John McCain e della agguerritissima Sarah Palin si è svolta attraverso tutte le tappe obbligate del tipo di propaganda che l’Italia si cucca tutti i giorni: insulti personali, dettagli senza importanza ingigantiti fino a diventare grotteschi, bugie eclatanti e vacui slogan ripetuti a macchinetta. Obama non ha mai voluto cedere ai litigi e alle accuse che non interessano al pubblico americano; si è attenuto ai fatti ed ha parlato all’americano medio di salute, lavoro, ecologia, diplomazia, e pace. Niente colpi bassi, niente insulti. E improvvisamente la campagna repubblicana si è trasformata nella fiaba de I Vestiti dell’Imperatore. Quando i compari di McCain si ostinavano a ricordare al pubblico che Obama fa “Hussein” di secondo nome, quando chiamavano Obama un terrorista, un pervertito, o (che non sia mai!) un musulmano, gli americani hanno imparato a riconoscere i ritornelli della paura e hanno fatto la loro scelta.
Dopo anni e anni di beghe inutili, non credevo fosse più possibile che la politica tornasse a parlare in modo chiaro e rispettoso, dando importanza ai fatti piuttosto che alle ideologie sposate in mala fede. Non so cosa succederà nei prossimi anni, ma sono sicura che l’amministrazione Obama affronterà seri problemi e commetterà errori. Per il momento, però, voglio festeggiare un presidente che ha restituito dignità al dialogo politico.
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