04 marzo 2008

ANCHE PROUST AVEVA LA SUA "RECHERCHE"

DI LAJULES

Da quando mi sono trasferita negli Stati Uniti, ho evitato i ristoranti italiani come la peste. Sono una snob, è vero, ma ho le mie ragioni. Il problema con i ristoranti italiani negli Stati Uniti è che questi sono in bilico tra due interpretazioni che poco mi interessano. Da un lato, ci sono le tavole calde o i ristoranti per famiglie che servono orrendi piattoni di pasta scotta e non salata ricoperta di finta besciamella, petti di pollo e broccoli. Dall’altra ci sono i ristoranti chic che fanno pagare $20 per un tagliere di affettati con poca ispirazione, e molto di più per primi e secondi cotti a puntino ma spesso con accostamenti troppo americani (formaggio di capra cotto ovunque) o noiosamente italiani (pomodorini freschi e rucola). E quando un ristorante riesce ad avere un menù interessante, mi tradisce con prezzi che richiederebbero un prestito bancario. Insomma, ho deciso molto tempo fa di visitare ristoranti italiani solo in Italia.

Il problema con il mio patriottismo è che anche se riesco a rimandare la consumazione di paste e risotti d’autore di svariati mesi, non riuscirei mai a fare lo stesso con la pizza. Quando ero in Italia, il mio caro amico B.Doll ed io eravamo partiti alla conquista della pizza perfetta, e intrattenemmo varie ed interessantissime discussioni sui pregi di una certa salsa di pomodoro, della mozzarella fior di latte, e soprattutto di una pasta per la pizza elastica e morbida e spessa verso la crosta (a differenza della pizza che va più di moda nel Veneto: sottilissima e croccante). Ancora oggi, ogni ritorno in Italia è celebrato con una serata in pizzeria nel giorno dell’arrivo, e ringrazio qui il caro B.Doll per la graziosa disponibilità e il sempre vivace interesse nella questione.

Ma torniamo a me! Quando mi sono trasferita negli Stati Uniti, la mia ossessione per la pizza è stata subito adottata dal mio consorte (non l’avrei sposato altrimenti). In fondo, Alec era già sulla buona strada, avendo vissuto per molti anni a New York, patria della ottima pizza d’asporto al doppio formaggio. Nella seconda visita italiana di Alec, ci siamo anche recati in pellegrinaggio a Napoli, dove abbiamo trovato l’estasi in svariate pizze dalla pasta elasticissima e saporita, per non parlare della dolcezza naturale del pomodoro e della freschezza della mozzarella fior di latte. Una pizza fritta comprata fredda in stazione e consumata diverse ore più tardi manteneva la stessa morbidezza… Altro che miracolo di San Gennaro! Che devo dire? Amen!


Alec ed io di fronte alla nostra prima pizza napoletana.


Tornati a Washington, Alec ed io ci siamo messi alla ricerca di una pizza che potesse essere consumata quasi settimanalmente, per placare la mia nostalgia d’Italia. Come potrete immaginare, la nostra ricerca ha avuto vari risultati. Abbiamo iniziato con la pizza 100% biologica di Coppi’s, ma a mio parere era troppo piccola e la crosta era duretta e senza sale. Siamo finiti poi da Ella’s Wood-Fire Pizza, che purtroppo ci ha servito un’abominevole cracker gigante con sopra una colata di ingredienti indefinibili. La peggiore pizza surgelata del Lidl mi sembrava al confronto un piatto di Gualtiero Marchesi. Alec ed io abbiamo poi scoperto Two Amy’s, una pizzeria che vantava pizze D.O.P. napoletane. Le pizze di Two Amy’s sono buone, ma i condimenti sono spesso eccessivi e salatissimi, e alla fine le pizze non mi ricordavano neanche lontanamente quelle napoletane. Alla fine siamo finiti da Sette, osteria semi-chic di proprietà di un signore napoletano in cui e finalmente ho trovato una margherita per i miei denti. Gli ingredienti sono saporiti e freschi e soprattutto, cotti a puntino. La mozzarella è la migliore delle alter pizzerie e il sale segue il gusto italiano piuttosto di quello americano (o scipito o salatissimo, mai una via di mezzo). E quando alzo gli occhi dal piatto, ci sono italiani (non italo-americani) ovunque che discutono e si salutano e che buttano lo sguardo verso partita di Champions’ League. Da Sette mi sento quasi (quasi) a casa, e posso riempire lo stomaco fino alla prossima capatina in Italia.

Parlatemi delle vostre pizze preferite, please!

4 commenti:

Miri ha detto...

Che blog simpatico che hai :-) come italiana trapiantata negli states mi sento molto solidale. Qui a Port Jeff la pizza non e' male, la pizzeria si chiama Napoli, su main street, pecca principale il prosciutto crudo prima della cottura
Anna Miriam

Giuliana ha detto...

io sono una pizza-dipendente, e la mia preferita è quella alla napoletana, margherita o con la mozzarella di bufala. però ho sposato un nemico giurato della pizza, che può tollerare al massimo le pizze basse basse e croccanti come crackers. una bestemmia! e così la nostra recherche si svolge a milano, in cerca di una pizza che soddisfi entrambi. al momento non si segnalano risultati di rilievo

Lajules ha detto...

anna miriam: port jefferson, NY? Ho guardato un paio di foto su Internet e mi sembra una citta' veramente carina. Il prosciutto crudo prima della cottura non mi e' nuovo. Credo che gli americani abbiamo sviluppato una tolleranza del salato al di la' della comprensione italiana.

giuliana: A Milano non mi dispiaceva la pizza a Rosso Pomodoro (la pizza di Cannavaro). Pero' e' napoletana, e il tuo marito non la gradirebbe. Mi piacerebbe che le milanesi del blog, Annucci e Franisia ti dessero un consiglio, ma latitano...

Daniele ha detto...

Cara Jules,
Condivido A PIENO la sofferenza ed il nobile giustificatissimo snobbismo verso i ristoranti Italiani in USA.
La prossima volta che ti troverai a NYC pero' prova Lil Frankie sulla 1st Ave e 1st street, una pizza veramente buona.
Disclaimer: Non sono il proprietario.
Ciao