30 luglio 2006

SAY CHEESE! /Alec

BY LAJULES

Uomini che cucinano... Cosa c'e' di meglio? Per quanto mi riguarda niente. Ecco Alec alle prese con una colazione dei campioni americana: omelette e salsicce. L'omelette in particolare e' una specialita' di Alec, perfezionata nella tecnica dopo mille ricerche e tentativi. Per ottenere un omelette soffice ma non spugnosa, Alec continua a mescolare l'uovo "vigorosously" con una paletta mentre continua a cucinare in una pentola antiaderente a fuoco medio-basso. Quando l'uovo comincia a rapprendersi, la padella viene inclinata in modo che l'uovo scivoli tutto da una parte. Continuate a fare rotolare l'omelette per la padella finche' non e' cotta all'esterno ma appare ancora semi-liquida all'interno. Una delizia! E per quanto sembra assurdo, il gusto cambia completamente e l'omelette non ha nessun saporaccio di uovo.



Un'altra tradizione americana e' il barbecue, o BBQ, come lo chiamano qui nel paese delle sigle. In questa foto, Alec e' alle prese con un grill da $25 (un furto) e sta preparando le solite salsicce. Ma se guardate bene, noterete che sulla griglia ci sono anche delle pannocchie! In molti film americani avrete visto le varie Pollyanne alle prese con pannocchie bollite e imburrate. La pannocchia alla griglia e' meno dolciastra e cuoce in fretta. L'unica accortezza e' spennellarla di olio e salarla. E la cosa buona e' che non si spappola come succede a volte con le zucchine o le melanzane.



Grazie Alec per le foto e per aver collaborato a TheDeadChef! E se anche voi avete qualcosa di culinario da raccontare, inviateci foto e aneddoti a thedeadchef@gmail.com.

26 luglio 2006

Ciccia sui glutei, ovvero il non superamento della prova bikini











BY ANNUCCI

Cari Fioi,
anche quest’anno sarò bocciata all’esame della prova costume.
Dopo tre mesi di faticosa dieta e dopo la perdita dei fatidici tre chiletti mi sto comportando esattamente come tutti gli anni, cioè mi rimetto in forma da febbraio a maggio con ginnastica e sacrifici in cucina e da giugno fino al giorno prima della partenza per il mare mi rimetto a mangiare porcate, riacquistando inevitabilmente i chili persi.
Mi domando se in questo ci sia qualcosa di compulsivo. Ho paura di farmi vedere in forma dal bagnino oppure il caldo mi fa venire un'incredibile voglia di cibo? Teoricamente l'afa dovrebbe far passare la fame ed invece a me fa l'effetto contrario, mi viene un’incontenibile voglia di abboffarmi di gelati, dolci, patatine fritte (quelle in busta), pizze, fritture miste etc. e non c’è forza di volontà che tenga.
Non è l’aria di vacanza perché le ferie sono ancora lontane.
Il mio lavoro non aiuta, difatti passo la giornata in mezzo a campioni di caramelle gommose, marshmallow, cioccolata, zucchero filato e chi più ne ha più ne metta.
Mi sono ridotta a sperare di rimanere sola in ufficio per concedermi una sana orgia di zuccheri. Ne ho poi a pentirmene perché con il caldo soffocante del mio ufficio (non abbiamo l’aria condizionata) l’arsura è devastante.
Diciamo che forse il mio lavoro non aiuta anche perché vivo una lenta agonia con un capo che mi manda in farmacia a comprargli la crema rettale, ma questa è un’altra storia.
Per il momento urgono consigli. Riuscirò a contenermi per le prossime settimane? Riuscirò ad andare in spiaggia con una circonferenza fianchi da sirena e non da balena?
Insomma faccio sto sforzo e in ferie mi sfogo come una novella sposina che dopo aver impalmato l’allocco dice addio alla linea, oppure me ne frego e magno ciò che mi pare, tanto dopo 10 giorni in Puglia tornerò più tonda di una scamorza di Molfetta?
Attendo il vostro responso.

P.s. questo week-end ho fatto di un’anguria di 4kg un budino con cioccolato e pistacchi e potrei rifarlo!!

25 luglio 2006

SAY CHEESE!

BY LAJULES

Da oggi TheDeadChef e’ orgoglioso di raccogliere immagini di tutti voi alle prese con una vostra ricetta bene o malriuscita, o con un piatto che amate o che che vi ha colpito in qualche modo. Mandateci le vostre foto al nostro indirizzo e-mail (thedeadchef@gmail.com) e aggiungete un commento, un’idea, un saluto, o addirittura una ricetta. Le foto saranno pubblicate in un post domenicale e magari in un futuro raccolte per celebrare tutti i lettori e commentatori di TheDeadChef.

Intanto comincio io con una mia foto mentre preparo le polpette. La storia dietro questa foto: i primi italiani che migrarono negli Stati Uniti all’inizio del secolo scorso importarono la pasta con le polpette, e da allora gli americani considerano le meatballs il piatto nazionale italiano. Sappiamo tutti che cio’ non e’ vero, ma non appena le ho preparate sono stata fotografata come stereotipo vivente.

24 luglio 2006

Cari amici di amici vi scrivo...

Ho iniziato a scrivere su TheDeadChef con l’intento fondamentale di trovare un punto di incontro e scambio con amici vicini e lontani. Il tema fondamentale e’ la cucina in senso letterale e metaforico, ma se il mondo non culinario emerge prepotentemente, allora va bene commentarlo. Volevo evitare di parlare di politica perche’ so che ci sono fonti e risorse ben piu’ attendibili, preparate, e sensibili di me. Penso anche che la politica abbia confuso le acque in modo tale che l’unica via sia ricomiciare da capo dall’iniziativa personale e dai sogni di ognuno di noi. TheDeadChef non e’ un sito politico, ma non dimentica che la politica e’ tutta attorno e dentro di noi.

In questi giorni c’e’ un indulto che il governo vorrebbe far passare mentre gli italiani sono occupati a resistere il caldo. Invaliderebbe processi avvenuti negli ultimi tre anni, aiutando i soliti noti e i terrificanti ignoti a rimanere o a tornare in liberta’. Seguendo l’esempio di un commentatore di www.beppegrillo.it ho inviato un’email ai principali organi di governo manifestando la mia opinione.

Se vi interessa, questi sono I destinatari della mia email. Cosi’ come li ho scritti, possono essere copiati con facilita’. Alcuni risponderanno, altri avranno le caselle piene (come tutti noi!).

presidenza.repubblica@quirinale.it; bertinotti_f@camera.it; marini_f@posta.senato.it; trasparenzanormativa@governo.it; politica@liberazione.it; m.marcelli@dsonline.it; info@verdi.it; info@beppegrillo.it; prodi_r@camera.it; dalema_m@camera.it; mastella_c@camera.it; rutelli_f@camera.it; p.fassino@dsonline.it; m.dalema@massimodalema.it; ufficio.stampa@giustizia.it; franceschini_d@camera.it; bersani_p@camera.it; pecoraro_a@camera.it; migliore_g@camera.it; violante_l@camera.it; bonelli_a@camera.it; dezulueta_c@camera.it; finocchiaro_a@posta.senato.it; dambrosio_g@posta.senato.it; colombo_f@posta.senato.it; turco_l@posta.senato.it; zavoli_s@posta.senato.it; bordon_w@posta.senato.it; calipari_r@posta.senato.it; russospena_g@posta.senato.it; menapace_l@posta.senato.it; ciampi_ca@posta.senato.it; levimontalcini_r@posta.senato.it; scalfaro_o@posta.senato.it; berlusconi_s@camera.it; fini_g@camera.it; follini_m@camera.it; casini_p@camera.it; maroni_r@camera.it

E adesso, torniamo a noi.

19 luglio 2006

IL DOLCE FORNO DEL SUBCONSCIO

BY LAJULES

Tra i pochi giocattoli anni '80 che riuscii ad ottenere da mia madre c'era il Dolce Forno Halbert. Peccato che non sia mai riuscita ad imitare le tortine esibite nella pubblicita' perche' mia madre fece sparire le istruzioni e mi dette a credere che il Dolce Forno fosse solo un giocattolo. Io cucinavo tortine immaginarie e sognavo di trascinare Herr Harbert in tribunale. Chissa': forse mia madre temeva che la lampadina da mezzo Watt con cui avrei potuto cucinare una crostatina in otto ore avrebbe fatto saltare in aria la casa. Conoscendo mia madre, la cosa e' piu' che probabile. Meno male che alla fine ero una bambina gastronomicamente stramba. Mi piacevano il fegato, gli spinaci e la minestra; mi disgustavano la panna montata, la marmellata e il miele. Le tortine Harbert non mi sono mancate, alla fine, piu' di tanto.

Questo aneddoto pero' mi ha fatto pensare. Cosa racconta il cibo di noi? C'e', nel modo in cui teniamo la forchetta o puliamo i carciofi, un'indicazione della nostra natura piu' profonda? Cosa possiamo indovinare del nostro bello quando scosta le verdure verso il bordo del piatto? O quando aggiunge un tuorlo crudo al sugo di pomodoro? E' quasi una teoria universalmente accettata che chi ama mangiare e' bravo a letto. Che perversione si celera' in chi si abboffa di Mars & Co.? Tutti i bambini si ostinano a mangiare sempre la stessa cosa (io volevo ricotta, tortellini alla panna e la pizza viennese), perche' si stanno creando un'identita' e la vogliono difendere mentre la costruiscono. Ma poi che succede?

Ho cominciato a pensare alle persone che conosco, e quali sono le loro peculiarita' culinarie e gastronomiche. Mi e' venuto in mente un amico che si nutre di latte e cioccolato e zucchero. Un'altro mangia le verdure solo se sminuzzate fino alle componenti atomiche. Un'altra si rilassa sgranocchiando cubetti di ghiaccio. Un'altro si ostina a mangiare il pollo arrosto con forchetta e coltello. Un'altro ruba i piselli surgelati. Un'altra considera una mozzarella intera in cima a una forchetta una cena decente. Un'altra sostiene che i funghi sanno di sangue. Un'altro era talmente ossessionato dalle proprieta' benefiche dell'aglio da aggiungerlo nel caffe' (giuro!).

Mio padre aveva l'abitudine di mangiarsi limoni interi a bocconi davanti alle figlie pietrificate dallo spettro dell'acidita'. Cosa credeva di dimostrare? Credo che alcuni cibi siano sfide: come ingozzarsi di mentine superforti e mantenere un'espressione dignitosa.

Alla fine ho pensato a me stessa (da brava egocentrica) e mi sono resa conto che mangiare mi piace, e cucinare anche. Ma se sono lasciata in balia di me stessa, ricado troppo facilmente su riso in bianco e zucchine al microonde. Mi sono allora giudicata da sola con le parole della mia maestra elementare: "E' interessata e partecipe ma potrebbe impegnarsi di piu'".

Che cosa dice la vostra cena di voi?

18 luglio 2006

Nostalgia Canaglia

BY ANNUCCI

Ciao Fioi,
ebbene si lajules sarà felice di notare che ho colto il suo invito a postare sul suo blog ed inizio oggi giornata relativamente tranquilla a lavoro (diciamo che sono in pausa pranzo così la passo liscia).
In questi giorni di saldi e shopping sfrenato mi sono ritrovata ad accantonare i vestiti, che nel mio armadio abbondano, e le scarpe, di cui ho sempre un inspiegabile bisogno, per spendere i miei lesinati guadagni su ebay, acquistando giochi della mia infanzia, dicesi ahimè "vintage".
Ebbene si mi sono fatta prendere da un attacco di nostalgia!
Il mio primo sguardo è caduto su un venditore italiano che ha messo all'asta il beneamato "Grillo Parlante" della Texas Instruments:

Chi ha la mia età lo ricorda sicuramente.
E’ un gioco datato 1978 realizzato con tecnologia ridicola per i criteri di oggi ma all'epoca era all'avanguardia, che io non avevo la fortuna di possedere e ci andavo a giocare a casa della mia vicina di casa.
Lo scopo del gioco è quello di scrivere con la tastiera la parola che il simpatico grillo pronuncia, praticamente un gioco didattico per imparare l’ortografia.
Se il bambino scrive la parola in modo esatto il grillo esclama:”bravo!! “ altrimenti:”non ricevo, scrivi e premi controlla” e se l’errore viene ripetuto per due volte di fila :”Non ho ricevuto, ti avevo detto di scrivere ...” il tutto corredato da ridicoli suoni elettronici, tipo robot.
La cosa bella è che la persona che ha prestato la voce al gioco ha (o aveva considerato l’anno in cui è uscito il gioco) un’erre moscia tremenda, provate a pigiare tante volte di fila la lettere “r” per fargliela ripetere e avrete una piacevole sorpresa!
Una chicca della quale mi ero scordata ma che mi ha fatto morire dal ridere è che la lettera ” j” è pronunciata “ilota” e sembra proprio che dica “idiota”.
L’unico vero limite di questo fantastico gioco è che non legge le parole non contenute in memoria ma ne fa solo lo spelling, pensate che bello se dicesse: “hai scritto merda, non ricevo, riprova e controlla”.

Dopo questo fantastico acquisto mi sono lasciata prendere dall’entusiasmo e mi sono messa a guardare se qualcuno vendesse il Simon della MB. L’ho cercato su ebay e naturalmente l’ho trovato (ci si trova veramente di tutto).

Non so se qualcuno se ne ricorda ma all'epoca era davvero popolare.
Lo scopo è riprodurre, schiacciando i tastoni colorati, una sequenza di suoni e luci data dal gioco, praticamente un memory elettronico. Questo l’avevo ma mi tirava davvero scema, probabilmente ero troppo piccola per riuscire a giocarci.
Quando mi arriverà saprò dire se la mia incapacità era dettata dall’età o dal fatto che sono un’impedita, vedremo!

Il venditore è in America ma poco male perchè il prezzo base di 9$ non è stato praticamente superato e a parte qualche spesa di spedizione me lo sono accaparrato con poco.

Ora, siccome ci ho preso gusto vorrei fare una specie di collezione dei giocattoli della mia infanzia (finanze permettendo) quindi se qualcuno ha qualche suggerimento su dei giochi veramente sfizio usciti negli anni ’70-’80 si faccia pure avanti.
Per il prossimo acquisto vorrei "L'Allegro Chirurgo” (quello originale anni 80 naturalmente) ma finora non l’ho trovato.

Aspetto notizie!

15 luglio 2006

Capitolo II: Venezia, Parigi, Londra. Le citta' dell'amore.

BY LAJULES

Venezia non far la stupida stasera - Cenerentola a Parigi - London Fog

Sono sempre stata un’appassionata sostenitrice dell’amore internazionale. Anzi, dell’amore fuori dall’Italia, perche’ per noi italiani “internazionale” e’ un aggettivo solenne e splendido che vuol dire “tutti tranne noartri”. L’esterofilia amorosa diventa poi ancora piu’ determinata quando, come me, si viene da Mestre: un paradiso di archtiettura anni ’70 con vista sul Petrolchimico. Certo, ci metto 15 minuti di autobus a raggiungere Venezia, la citta’ piu’ romantica del mondo. Eppure non ho mai lasciato che il mio cuore si facesse abbindolare dalle nebbie salmastre, dal ticchettio dei passi nei campielli, dallo sciacquio sonnolento di una pantegana che lenta, attraversa un canale a nuoto. Ci sono troppe cose di Venezia che mi impediscono di pensare all’amore: il primo appuntamento rovinato dal coro di bestemmie dei fruttivendoli; eserciti di francesine in gita che rapivano lo sguardo del mio bello durante il primo bacio, e cosi’ via. Il Carnevale, poi… Maledettissimo! Il mio primo vero fidanzato, travestito da sveglia, arrivo’ in ritardo alla festa in Campo Santa Margherita e non lo rividi mai piu’.

Ma anche se ferita e sola, credevo sempre in una cosa: un giorno una metropoli straniera avrebbe portato la felicita’ che Venezia mi aveva sempre negato.

Il mio primo viaggio della speranza fu a Parigi, nel 1994. Io e mia sorella Damiana ci saremmo unite a dei nostri amici del mare e con loro sarebbe venuto un tenebrosissimo e dannato diciottenne che guardava sempre lontano, fumava sigarette mentolate e non diceva una parola. Le sigarette mentolate mi disgustavano, ma allora non ero la snob che sono oggi. Avevo sedici anni, parlavo e fumavo per quattro e durante le mie serate in spiaggia a dar fuoco agli ombrelloni e a bere Grand Marnier, mi ero inevitabilmente infatuata di lui. Ma le spiagge di Bibione non avrebbero mai potuto fare da testimone al nostro amore…Troppa mucilaggine e troppa techno. Mi convinsi che Parigi, che ci aspettava a Settembre, avrebbe fatto esplodere una passione magica e profonda. Ma Parigi mi tradi’. Seduta sui gradini della Locomotive, un locale dark di Pigalle, compativo il mio destino e guardavo il mio bello che fumava sigarette mentolate e continuava a non dire una parola. Per farla breve, il tenebroso ignoro’ me e i miei amici per tutta la vacanza. Il suo ennui aveva il passaporto internazionale, e io capii che non ci saremmo mai amati. L’ultimo giorno, il tenebroso mi chiamo’ da parte e, sottovoce, mi disse di avere un regalo per me. Tiro’ fuori dallo zaino una stecca di Marlboro mentolate e me le diede con un timido sorriso. Fumammo insieme una confusa sigaretta, e mai come prima mi sentii delusa e rinfrescata.

Alcuni anni dopo, mi trasferii a Londra, la citta’ dei miei sogni, culla della civilta’ che rispettavo. Ogni giorno sedevo in metropolitana e contemplavo e amavo segretamente i ragazzi piu’ belli. Con la loro gentilezza e serena eccentricita’ riempivano il mio cuore di fantasie psichedeliche e pulsioni sexy-imperialistiche. Per permettermi il costosissimo abbonamento della metropolitana, trovai addirittura un lavoro come barista, e il caffeinatissimo ccaffe’ londinese non fece che amplificare le mie perversioni, portandomi ad un delirio confusionale che segno’ la mia rovina. Prima che me ne rendessi conto finii intrappolata nella squallida e segreta realta’ delle comunita’ italiane impiegate da Starbucks. Un barista torinese alto e depresso mi sedusse e abbandono’, lasciandomi un criptico messaggio sul cellulare dove si definiva “una testa di minchia”.

Ma questo blog e’ sull’America, e fu proprio lei a ridarmi cio’ che Venezia, Parigi e Londra mi avevano sottratto con tanta crudelta’.

12 luglio 2006

IL GRANDE COCOMERO (A' SORETA!)

BY LAJULES

Annucci mi scrive le sue impressioni sul Grande Cocomero, in Francia affettuosamente chiamato Zizou:

"Adesso all'estero stanno già ribaltando la frittata facendo di Zidane una povera vittima e di Materazzi un orrendo razzista provocatore. La Fifa ha persino aperto un'inchiesta. Se dovessero aprire inchieste per ogni insulto che i giocatori si scambiano durante le partite staremmo freschi. Povera Italia! Ma quando je rode che abbiamo vinto? Stanno esagerando! Si tratta pur sempre di calcio e i giocatori non sono certo signorine si sa! Abbiamo avuto i nostri espulsi e ce la siamo messa in sacoccia. Non stiamo qui a dire che Zidan debba bruciare all'inferno, ha sbagliato è stato espulso e amen, avremmo vinto comunque. [Segue commento sul fascino degli Azzurri in generale. N.d.R.]"

Annina invece mi scrive:

“La frase precisa da usare in questi casi è: 'Il calcio non è uno sport per signorine'. La frase preferita dai difensori di Zidane è invece: 'E' stato provocato'. E meno male, dico io, altrimenti significa che è un pazzo furioso. Tra le ipotesi migliori sulla frase di Materazzi quella del cugino di Zidane: "Sei figlio di un Harkis (=algerino collaborazionista dei francesi al tempo della battaglia di Algeri)". Vorrei tanto che la mente di MM fosse riuscita ad elaborare un insulto così colto, ma purtroppo il ragazzo è ignorante assai. [Segue commento sul fascino irresistibile di Materazzi. N.d.R.]”*

TUTTE le persone che seguono il calcio sanno che i giocatori in campo si dicono le peggio cose. E questo succede in tutti gli altri sport. Sul Corriere ho letto le dichiarazioni di un difensore frances. Questo racconta di aver preso da parte Zidane prima della partita per metterlo in guardia contro i possibili insulti italiani. Come se un campione 34enne non ne avesse sentite di cotte e di crude. Zidane non e' nemmeno nuovo alle testate (vedi Champions League), ma nessun giornale straniero sembra volerlo ricordare.

A me dispiace che si usino gli insulti per innervosire l'avversario, ma mi dispiacerebbe ancora di piu’ se adesso fosse solo l’Italia a pagarne le conseguenze per giudizi ipocriti. La cosa pero’ che mi infastidisce e mi preoccupa di piu’, e’ questa esaltazione del machismo che non puo’ resistere alle provocazioni, ed ogni reazione viene giustificata. Un americano muscolosissimo (qui lo definirebbero “jock”) che vedeva la partita al tavolo accanto al mio, sosteneva questa tesi in pieno. Gli insulti sono vili, le testate virili. E alla fine l’ha vinta chi corre prima dalla maestra.

In questa storia Materazzi non e’ un eroe. Ma nemmeno Grande Cocomero, che ha concluso la sua carriera con una scenata indegna del suo Pallone d’Oro. Voi che ne pensate?

*Preciso che Annucci e Annina sono due persone distinte e realmente esistenti.

10 luglio 2006

ITALIA CAMPIONE DEL MONDO!

BY LAJULES


Ho seguito la finale dei mondiali da un bar mediorientale dove non servivano alcolici ma ottimi falafel e baba ganoush. Alec, convinto di ordinare un succo di frutta alla banana, si e' ritrovato con un narghile alla banana. Il tavolo accanto al nostro era di americani innamorati di Zidane, ma tra di loro c'era una ragazza in canottiera azzurra che teneva per i nostri (e ha pianto dopo il rigore francese). I due tavoli di fronte erano di francesi e argentini che tifavano Francia. Insomma, per l'Italia c'ero io, Francesca, Alec, Geoff, e i nostri amici britannici MIchael e Katherine. Il primo gol subito mi ha portato alla disperazione, il secondo mi ha fatto saltare per un quarto d'ora tra le braccia della Francy, e il resto della partita mi ha dato palpitazioni, sudori freddi, e croci di spine alla testa.

Francesca ed io non abbiamo avuto la forza di assistere ai rigori. E' gia' stressante abbastanza vivere i mondiali in terra straniera. Allora ci siamo allontanate di un centinaio di metri, e ci siamo sedute vicino a un campo da tennis. Dietro di noi, un signore si godeva la bellissima giornata e la partita di tennis ascoltando "Summertime" cantata da Ella Fitzgerald e Louis Armstrong. L'ansia del rigore e' scomparsa in un attimo.

Francesca ed io parlavamo dell'Italia in tutta serenita', quando la strombazzata di uno scooter in lontananza ci ha fatto capire cosa stava succedendo. Ci siamo guardate negli occhi, e immediatamente abbiamo ricevuto un SMS da Alec con una parola sola: ITALIA!

Siamo saltate per aria e abbiamo corso verso il bar mediorientale (io sono inciampata e oggi sono a casa con una caviglia abnorme), e poi abbiamo assistito alla parata di macchine strombazzanti, dove italiani doc, italoamericani, e americani innamorati dell'Italia sventolavano il tricolore. Mi e' mancata l'Italia in questo momento, ma e' stato bello vedere che anche qui riusciamo a fare casino. In serata, abbiamo mangiato una pizza nella pizzeria italiana (buona) di Washington, e ogni fetta di pizza si alternava ad un brindisi o un coro insieme a tutti gli italiani emigrati.

Come sappiamo tutti, la Nazionale e' la cosa che ci fa sentire italiani e per questo la amiamo. E se poi e' una nazionale come questa di Lippi, che e' capace di cacciare tutti i fantasmi del passato vincendo con la Francia (!!!) ai rigori (!!!!)... Speriamo che questo mondiale ispiri un po' l'Italia tutta a ritirarsi su dal fango in cui si e' gettata. Una nota personale di vanto: gli Azzurri di Lippi sono della mia generazione. Fioi: abbiamo vinto!!!

08 luglio 2006

PANETTO DI BURRO

BY LAJULES


Buon compleanno Tai Shan! Un anno fa, al National Zoo di Washington, nasceva il primo cucciolo di panda nato sul suolo statunitense. La stampa si era allora scatenata nel trovare un nome per il nuovo arrivato, e la risposta unanime del pubblico era stata "Butterstick", panetto di burro, per l'appunto. Ma la mamma e il papa' di "Butterstick" sono in prestito per 10 anni dal China Research and Conservation Center for the Giant Panda di Wolong, e i loro nomi sono infatti Mei Xiang ("buon profumo") e Tian Tian ("sempre di piu'"). Il grassissimo - come direbbe Anna - panetto di burro ricevette quindi il nome dai suoi conterranei, ed oggi e' conosciuto come Tai Shan ("montagna pacifica').

Nel suo primo anno di vita, Tai Shan ha intasato la rete con le immagini riprese dalla webcam ed ha sciolto i cuori dei piu' efferati businessmen del paese.

A me non serve molto per sciogliermi, e Tai Shan e' riuscito dove null'altro ha potuto: guardando le sue foto di compleanno, mi sento accumunata con gli Americani. Nel mio cuore, l'equazione e': Tai Shan sta all'America come gli Azzurri stanno all'Italia.

Se vi piacciono le foto (e come non potrebbero?) allora andatevi a vedere il sito del National Zoo (http://nationalzoo.si.edu/animals/GiantPandas/) e quello del Washington Post (www.washingtonpost.com) dove troverete un video di buon compleanno che e' al limite di grassezza della comprensione umana. Sappiamo tutti come un ricciolo di burro renda tutto delizioso, figuriamoci un panetto!

06 luglio 2006

BOCCONI AMARI IN FINALE

Germania 2006 sta volgendo al termine e gli Azzurri sono in finale insieme ai sogni di gloria di tutti gli italiani. Io putroppo, per colpa del fuso orario, ho potuto vedere ben poco di questo mondiale. Mi sono pero’ bastate tutte le polemiche delle ultime settimane e il partitone contro la Germania per ritrovare l’entusiasmo patriottico. E se aggiungo che durante Italia-Germania ho banchettato a frittatone di cipolle e birra (olandese) gelata, allora capirete il mio bisogno crescente di sentirmi italiana e riscattata.

Non posso mentirvi, la critica principale che fanno qui in America ai calciatori italiani e’ quello di stramazzare al suolo in lacrime per un colpo di vento. Ammetto che inginocchiarsi davanti all’arbitro fa poco Gary Cooper e troppo Albertone, ma sentirsi criticati dai grandi perdenti di questo mondiale mi rimescola lo stomaco.

Allora ho preso esempio dalla Nazionale di martedi: inghiotto il sarcasmo e il disprezzo della terra dei liberi e tengo duro finche’ il destino non sara’ capovolto a mio favore. Gli americani che dopo l’eliminazione si sono messi a tifare Brazile, Ucraina (!) e Germania stanno cadendo uno a uno e adesso l’unica via d’uscita e’ tifare Francia, il paese che verso l’America ha tenuto il nasino bello dritto e presuntuoso per almeno due secoli.

La verita’ e’ che il mondo odia e ama l’Italia perche’ in Italia ancora funziona tutto senza che funzioni niente. Non credo che la situazione durera’ a lungo, ma intanto godiamocela. E in futuro, resistiamo alla tentazione di piagnucolare, e inventiamoci una resistenza al giudizio straniera usando l’ironia italiana (quella buona) e il BUON SENSO.

I tedeschi dicono di voler sabotare la pizza? Cannavaro fa bene a rispondere: “Ma chi ve lo fa fare?” e LaJuana fa bene a sghignazzare: “Va bene, vuol dire che non mangero’ crauti per tre mesi.” I pizzaioli italiani in Germania intanto sembrano servire la Pizza 2-0. Sono sicura che sia ottima; di certo e' inconfutabile.

04 luglio 2006

Capitolo I: Deep-Fried o Come si diventa americani

BY LAJULES

Primo giorno in America - Il migliore amico dell’uomo - Il migliore amico della Festa del Rigraziamento - Rivelazioni



Il mio primo viaggio in America fu nel 2003. Era il mio viaggio post-laurea e pre-disoccupazione specializzata. Bei tempi. La prima settimana la trascorsi con mio padre, la sua compagna Patty, e Fefe, la mia amica di sempre. Eravamo ospiti da due amici di Patty, un violoncellista di Padova e una cantante lirica del Connecticut con un'ossessione canina al limite della psicosi. Ma in fondo quale cantante lirica non gira la cittá con le tasche piene di biscotti per cani da offrire in giro?

“Tesoro, ho ripulito I visoni dell’anno scorso e sai cos’ho trovato?”
“Venti euri?”
“No, due costicine!”

Ma a parte questo, la notizia che sconvolse la nostra innocenza di provinciali italiani nella nostra prima serata newyorkese fu, come al solito, culinaria.
“Lo sapete che sempre piú famiglie americane friggono il tacchino invece di cucinarlo nel forno?” ci annuncio' a bruciapelo il violoncellista.
Si avvicinava la Festa del Ringraziamento, o Thanksgiving, come lo chiamano i locali.
“Cioe’?” chiese Fefe allarmata.
“Cioe’ si compra il tacchino piu’ grande che si riesce a trovare, uno che mai e poi mai entrerebbe nel forno, lo si butta un pentolone pieno di olio di semi, e lo si lascia friggere per un ora” rispose lui (sul suo viso il sorriso di chi sa di aver colpito).
“Per un’ora? Ma… si puó fare?” sussurrai io che dopo due anni di dieta mi faccio il segno della croce ogni volta che sento le parole ‘mozzarella in carrozza’.
“Sembra di sí.” Che domande!

E il violoncellista si lanció in un acuta ed accorata analisi socioeconomica, dove le famiglie povere del Tennessee non solo non avevano il forno, ma conservavano l’olio da generazioni, impiegando i figli in etá scolare alla pulizia del pentolone (quando non ci dormivano dentro). Il tacchino fritto era il simbolo e la rivincita di coloro che erano stati abbandonati dal timidissimo welfare statunitense e soprattutto da Hollywood, che e' la ragione per cui gli americani per noi sono tutti ricchi e sorridenti portatori insani di mitragliatrici da polso.

Imparammo che il tacchino veniva poi tagliato con un coltellaccio arrugginito dal padre di famiglia nell’unico momento in cui la prole lo guardava con rispetto. Servito con una salsa di mirtilli rossi in scatola, e da una schifezza immonda quale lo sformato di patare dolci con marshmellows gratinati, il tacchino era l’idolo senza testa al centro della tavolaccia di assi tarlate, con la famiglia pulciosa e sdenata che biascicava una preghiera che nessuno avrebbe ascoltato, mentre i bambini stringevano le mani callose dei genitori nell’unico gesto di affetto e gioia che credevano di meritare nella loro squallida esistenza suburbana.
Fefe ed io singhiozzavamo l’una tra le braccia dell’altra: noi figlie di funzionari Generali, noi con i nostri stivali di pelle, noi con i nostri molari allineati da preziosi apparecchi, noi con i nostri capodanni in montagna a bere Bailey’s e tequila, noi con i nostri nomiglioli idioti. Che vergogna, che nausea.
Quella notte dormimmo a malapena, per il rimorso e per il fuso orario (6 ore avanti!).

Il giorno dopo facemmo colazione con quattro frittelle, due uova strapazzate, bacon e succo d’arancia, ma io non riuscivo a non pensare a quest’America di miliardari e roulottari, tacchini al forno e tacchini fritti.
Mi ingozzavo di frittelle e non sapevo che solo due settimane dopo, avrei incontrato Alec ad Atlantic City, e mi sarei traferita a Washington poco dopo. Ma meno che meno sapevo che l’anno dopo avrei trascorso il mio primo Thanksgiving con la famiglia di Alec, a mangiare ostriche nel patio, annaffiandole con un buon vino francese.
E certo non sapevo che quel giorno Alec ed io ci saremmo presi per mano, avremmo lanciato un tacchino di 10 chili in un pentolone pieno d’olio di arachidi, e saremo poi scappati ridendo per non venire bruciati vivi come nel medio evo.
E quando addentavo la coscia sugosa e saporita, avevo giá imparato che l’America non te la puoi far raccontare da nessuno. Proprio no.